in itinere - il caffè dei fotografi (la fotografia dell'uomo; human and streetphotography)

GIORGIA FIORIO

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bobo3361
view post Posted on 30/12/2011, 11:56 by: bobo3361
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Giorgia Fiorio nasce a Torino il 23 luglio 1967.
dagli anni Novanta si dedica alla fotografia, con numerosi reportage e varie mostre nel mondo. Dopo aver frequentato l’International center of photography di New York, lavora principalmente su progetti personali a lungo termine, a carattere umanistico.
Tra il 1990 e il 2000, porta avanti una ricerca sulle comunità chiuse maschili nella società occidentale, Uomini. Dal 2000 al 2009 avvia una ricerca fotografica sulla relazione tra l'individuo e il sacro, dal titolo Il dono che vince il Premio Grin e ottiene il patrocinio dell’Unesco.
Tra i progetti: Humanum, il terzo lavoro del ciclo iniziato con Uomini. E, dice, «uno sguardo, meno impegnativo in termini di tempo, sui confini naturali dell’Italia: cum finis, punto d’incontro tra due entità che iniziano e finiscono e corrisponde all’infinito nella morfologia del paese». Otto i book fotografici: Soldati (Contrasto, 1992), Des Russes (Éditions de l’imprimeur, 1993); Legio patria nostra (1996); Ser torero (1997), Box’in Usa (1998), American fireman (2000), Hommes de la Mer (2001), Des Hommes (2003), tutti con Les éditions Marval. Vive a Parigi.

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alcune sue considerazioni dalle interviste (i link ai testi originali e completi più in basso)

Stiamo vivendo un enorme paradosso. Nonostante l’enorme quantità di persone che fanno fotografia, o forse proprio per questo, siamo completamente circondati da immagini, eppure stiamo in qualche maniera cancellando la memoria del nostro presente.

Una volta il Natale, le foto di famiglia, il viaggio con gli amici, erano sempre un momento speciale, mentre adesso tutti quelli che possiedono un telefonino sorno virtualmente nostri colleghi, ma qual è la differenza tra fotografare ed essere un fotografo? Fotografare tutto, all’infinito, equivale a non fotografare nulla.
Chi stampa più foto? Nessuno, dopo quelli della mia, ormai vecchissima, generazione. Tutti mandano una fotina sul telefonino, un’immagine resta nella memoria del computer qualche giorno, poi viene cancellata.

È impressionante, un fenomeno culturalmente pazzesco, in qualche modo ci fa uscire dal rapporto importante della foto che ferma qualcosa di noi. Dunque, oggi fare fotografia prevede un livello di consapevolezza, di scelta storica, semantica, estetica, tanto più difficile quanto richiede una consapevolezza rispetto a sé stessi alla quale siamo disabituati.

La fotografia, invece, esige tutta la nostra attenzione. Fare buona fotografia, ora che il linguaggio dell’immagine è quello più diffuso, non è più abbastanza: è il punto di partenza e non d’arrivo del principio creativo.

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Nel momento in cui si decide di diventare fotografi ci si deve collocare in questa dimensione unica: fotografare qualcosa di nuovo è difficilissimo, per non dire impossibile, tuttavia è ancora possibile fotografare qualcosa nota a tutti da un punto di vista unico.

Dobbiamo smettere di razionalizzare ciò che vediamo ma seguire lo sguardo, la visione. Il momento dello scatto che precede l’immagine è estremamente importante, è il primo passo, determina la nostra posizione rispetto al mondo, il punto di vista sull’accadimento.

Fotografare, oggi, significa cominciare a capire quali cose ci interessano davvero, quello che ci sta a cuore veramente, non quelle che tirano di più

Fotografare vuol dire, infine, interrogare il mondo, porsi davanti alle cose che non capiamo. Ma la foto non risponde, interroga noi che guardiamo e chi guarda vede in quelle foto un’altra risposta, o un’altra domanda. La fotografia è sempre un interrogativo per chi guarda e per chi la guarda».

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Il colore è come se fosse la "prosa della fotografia", il bianco e nero invece, è come "fotografare in versi" – si è più rimossi da un reale che non viene dunque "detto né raccontato", ma come dissi sopra, soltanto evocato.

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La dimensione formale è per me inscindibile e intrinseca al contenuto. La Forma e una perfetta padronanza tecnica sono fondamentali per tradurre e restituire intatta la propria ispirazione fronte ad ogni tipo di contingenza.

Lavoro da sempre con delle macchine medio formato. Sino al 2000: Hasselblad SWC obiettivo fisso 38mm e Hasselblad 500 con un 60mm. Dal 2000 lavoro anche con una Linhof Technorama 6x12 con un 70mm fisso. Nel 60% delle riprese circa, mi avvalgo inoltre dell'utilizzo di un flash Metz 45cl (con un diffusore artigianale) - che tengo a mano e dirigo a seconda della situazione. Lavoro da sempre unicamente con Trixpan 320. Sviluppo i miei film personalmente.

Non ho mai scattato in digitale, né penso di farlo, né giudico coloro che scelgono di utilizzarlo.

In assoluto come soluzione finale nella mia fotografia, non mi seduce né interessa particolarmente, poiché credo nell'irriproducibile unicità dell'opera compiuta, credo nella sostanza intrinseca della materia e credo nella necessaria distanza fra il concepimento e l'attuazione della stessa.



- il SITO ufficiale
- intervista su NITAL
- intervista su INSIDEART
- immagini al FORMA

i VIDEO nella ns sezione
 
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8 replies since 30/12/2011, 11:56   1011 views
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